“Se l’arte di arrangiarsi può essere considerata una qualità, essa forse è la migliore qualità per una popolazione di avventurieri, ma non può essere tale per i cittadini di uno Stato democratico che funzioni bene.
“L’arte dell’arrangiarsi denota una mancanza di senso dell’onore e l’onore, ha scritto lo storico francese Lucien Febvre, è il sentimento sociale che facilita i doveri verso la società civile, la sottomissione degli interessi particolari all’interesse comune.
Ebbene, all’inizio del 2008, soltanto l’uno per cento degli italiani ha dichiarato di considerare il senso dell’onore la migliore qualità del nostro popolo. Di ciò, probabilmente si è resa conto una parte dei cittadini. Nel 2009 gli italiani che si vergognavano di essere italiani ammontavano al 26 per cento.”.
Constatazioni mortificanti, ma vere, uscite dalla penna di uno dei nostri più insigni studiosi, docente di storia contemporanea all’università la Sapienza di Roma, Emilio Gentile. Ma le cose stanno così e non potrebbero stare peggio. Abbiano festeggiato con fanfare, bandiere e inni l’Unità d’Italia, ma entusiasmo popolare ce n’è stato poco. Il Presidente della Repubblica Napolitano ha fatto tutto quello che poteva fare per rendere partecipi i connazionali di un evento fondamentale della loro Storia, ma la risposta, con buona pace dei retori e dei tromboni, è stata svogliata.
Noi, il nostro passato, lo conosciamo poco e lo amiamo ancora meno. Viviamo nel presente, non abbiamo, come diceva Ugo Ojetti, antenati né posteri, ma solo contemporanei.
Abbiamo tante virtù e io, che passo per un disfattista o un qualunquista, quale non sono, non le ho mai taciute. Siamo intelligenti, furbi, cioè intelligenti, un po’ malandrini, la fantasia non ci manca, ci aiutiamo, soprattutto nelle emergenze, dove diamo il meglio di noi. Pensiamo alla rinascita dello Stivale dopo la seconda guerra mondiale: macerie, materiali e morali, stenti, fame, un’incertezza angosciosa. Eppure ci siamo rialzati, ci siamo rimboccati le maniche, avviando quel miracolo economico, meglio noto come boom. Dal 1958 al 1963 siamo stati uno dei Paesi più vitali del mondo, assieme alla Germania e al Giappone, con noi i due grandi sconfitti di una sfida planetaria costata cinquanta milioni di morti.
I meriti del nostro popolo, le sue conquiste, le riconosco e, all’occorrenza, le celebro. Ma devo anche denunciare le sue lacune, le sue magagne, le sue insipienze e insolvenze.
La più deprecabile, la più esiziale, quella che più nuoce alla nostra immagine, è proprio l’arte di arrangiarsi, versione bizantina e levantina del pragmatismo anglosassone. È l’arte di cavarsela, di sbarcare il lunario con le gherminelle più creative e imprevedibili. È un difetto antico che ha ragioni storiche nel passato quando, aggiogati al carro dello straniero, dovevamo difenderci dalle sue vessazioni e dai suoi arbitrii. Era un’arma di difesa, una delle poche di cui disponevano e che dovevamo tenere sempre in tasca perché gli occupanti si avvicendavano sul nostro territorio, diventato terra di conquista e di rapina. Per avere giustizia bisognava ricorrere al favore, al privilegio, alla trasgressione di leggi che i padroni, sempre nuovi, emanavano e che i sudditi puntualmente non rispettavano.
Non abbiamo senso dello Stato perché il nostro è nato tardi e, per certi aspetti, anche male, l’“eroico abuso” di una minoranza di borghesi intellettuali e professionisti, su un popolo all’ottanta per cento analfabeta e che sentiva solo il “proprio particulare”.
La mancanza di senso dello Stato ha come conseguenza quella di senso civico. Quel senso civico che i Paesi del Nord Europa, di educazione e spirito protestante, hanno tanto spiccato. Quel senso civico che ti fa rispettare gli altri e che ti rende partecipe dei beni comuni. Il Colosseo, piazza del Plebiscito, della Signoria, San Marco, dovrebbero essere luoghi sacri per tutti. Ma, non lo sono per gli italiani. Ognuno li percepisce come patrimonio di una comunità di cui non avverte il prestigio e le regole. E questo sembra esentarlo da ogni forma di rispetto. E, infatti, lo lorda con carte, cartacce, lattine vuote, preservativi, mozziconi di sigaretta e altro sudiciume.
Ma i nostri difetti non finiscono qui. Ancestrale è il trasformismo. Il fatto che dalla caduta dell’Impero romano non abbiamo mai finito una guerra con lo stesso alleato, tradito quando irrimediabilmente perdeva la partita, vorrà pur dire qualcosa. È vero che le idee si possono e si devono cambiare, ma è anche vero che c’è un limite a ogni mutamento di gabbana.
Pensate al fascismo. Durante il Ventennio liberticida tutti erano con Mussolini, tutti a osannare il Capo sotto il balcone di palazzo Venezia. Poi, caduto il regime, tutti antifascisti, a sputare e orinare sul suo cadavere in piazzale Loreto. La coerenza non è mai stata il nostro forte, è sempre stata il nostro lato più debole. Eppure, ad onta di tutte queste pecche, il tricolore ancora mi commuove.
atupertu@ilmessaggero.it
Люблю читать статьи R.Gervaso,полностью с ним согласна.
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Re: Итальянцы- "popolo particulare"?
вт, 05/04/2011 - 14:44 — nata1time0PAESE CHE VAI...USANZA CHE TROVI !
Что бы Вы ответили на это? Я это слышу довольно часто, и не всегда могу найти ответ.
Re: Итальянцы- "popolo particulare"?
вт, 05/04/2011 - 12:48 — Chiara-Chiara0А если бы Вы еще перевели нам эту статью, милая Ирина, цены бы Вам не было
Re: Итальянцы- "popolo particulare"?
вт, 05/04/2011 - 12:47 — Olaf0хорошая статья, хоть ничего нового в ней нет